martedì 31 gennaio 2017

I nostri racconti (laboratorio primo quadrimestre)

DIECI PICCOLI STUDENTI

Era il 23 dicembre del 2016, il giorno prima delle vacanze natalizie, io ero a scuola, era una giornata scolastica normale avevamo due ora di matematica con la prof. Castro, un’ora di musica, una di storia e le ultime due ore di italiano con il prof. De Carlo.
Mi ero fermata a scuola un po’ per parlare con la Prof. Castro e chiederle dei chiarimenti sull’ultimo argomento che avevamo trattato e che non avevo capito completamente.
Erano le 17.30 e stavo preparando la cartella per uscire da scuola e finalmente godermi le meritate e desiderate vacanze natalizie, quando, ad un certo punto salta la luce, si sente il “clack” delle porte che si chiudono e a me prende il panico e inizio ad urlare.
Improvvisamente la luce ritorna e io corro fuori dalla classe.
Arrivo in corridoio e trovo Marta della 2^B, una ragazza silenziosa e molto timida, mora e con gli occhi scuri, insieme a lei c’era Federico della 2^A, un ragazzo educato e molto ragionevole con occhi scuri e capelli castani, nella compagnia c’ era Giorgia, Leonardo, Mario, Anna, Serena, Ludovica e Gabriele.
Insomma, eravamo dieci ragazzi chiusi in una scuola!
 Tutti sapevamo che esisteva una porta guasta che non si chiudeva in biblioteca, perciò senza esitazione corremmo in biblioteca, che si trovava dall’ altra parte della scuola.
Arrivati lì, però, trovammo la stanza oscurata e la porta chiusa; erano le 19.30 e io e i miei amici ci dividemmo per provare ad aprire le porte. Io e Giorgia andammo in salone per provare ad aprire la porta principale, che, ovviamente, era chiusa.
Anna e Marta, invece andarono in mensa per vedere se la porta fosse aperta; e infatti così era, ma, all’interno c’erano solo tavoli, sedie e tanti panini.
Mario e Ludovica erano andati in palestra dove avevano trovato la porta aperta e all’ interno tanti palloni da pallavolo tutti accatastati contro una parete, mentre Serena e Gabriele erano stati in aula di musica per vedere se la porta di collegamento con la scuola elementare fosse aperta, però, purtroppo, non lo era.
Ci ritrovammo tutti in corridoio ed essendo le 20.00 decidemmo di mangiare i panini che c’erano in mensa e successivamente ci recammo in palestra per fare qualche palleggio e ingannare il tempo, poiché iniziavamo tutti a perdere le speranza che qualcuno sarebbe venuto a recuperarci prima della notte e anche la paura iniziava a impadronirsi di noi.
Erano le 22.00 e andammo tutti in bagno per prepararci per la notte e ognuno andò in un’aula diversa: io nella 2^A, Marta nella 2^C; Giorgia nella 3^B, Serena nella 1^E, Gabriele nella 1^A, Leonardo nella 3^D, Anna nella 2^E, Ludovica nella 3^C, Mario nella 1^D e Federico nella 3^A.
Io dormii un po’ preoccupata per come potesse finire questa storia però all’una di notte riuscii ad addormentarmi. 
la biblioteca scolastica

Era mattina e alle 10.00 io ero in piedi; corsi in corridoio per cercare gli altri e li trovai molto impauriti perché non trovavano più Federico; allora mi spiegarono che la sua stanza era oscurata e chiusa a chiave e di lui non c’era più traccia.
Io ebbi un mancamento e svenni, Leonardo mi prese e mi accompagnò sui divanetti dell’ingresso, Anna mi portò dell’acqua e io mi risveglia un po’ intontita e mi recai nella “mia” stanza e dopo pochi minuti andai a mensa per mangiare qualcosa.
Nel pomeriggio andai nell’ aula del preside, che era al piano di sopra per vedere di riuscire a farmi notare da qualcuno dalle finestre, ma questo tentativo non funzionò perché essendo la scuola in un luogo isolato, nessuno passò.
Anna alle 16.00, andò in bagno per bere e da lì non tornò più!
Passò un quarto d’ ora e noi ci incominciammo a preoccupare, andammo in bagno, ma di Anna non c’era traccia, io corsi verso la sua stanza e la trovai oscurata e chiusa a chiave.
Io stavo ancora per svenire ma riuscii a non farlo, fuori dalla sua stanza vidi un pezzetto di carta ingiallita, sembrava un libro molto vecchio, però non c’era scritto niente.
Erano le 19.00 ed eravamo tutti nelle aule per prepararci per la cena, ad un certo punto sentii uno strano rumore, uscii ed andai a chiamare Ludovica che insieme a me avvisò gli altri; tutti tranne Giorgia la quale stanza era oscurata e chiusa a chiave.
Durante la notte io presi un foglio ed una penna e incominciai a fare un riepilogo della situazione:
Prima notte     Federico
Ore 13.00        Anna     pezzo di libro
Ore 19.00       Giorgia
Passai tutta la notte a riflettere, ma non mi venne in mente niente; la mattina seguente andammo tutti a fare colazione, Mario volle andare in palestra per sistemarla e per gonfiare i palloni e Leonardo decise di accompagnarlo, mentre io insieme agli altri, invece, andammo a vedere se in mensa fosse avanzato dell’altro cibo.
Prima di arrivare in mensa vedemmo dietro di noi Leonardo che ci inseguiva dicendoci che Mario era sparito; tutti senza esitare andammo a controllare nella sua stanza e anche questa era oscurata e chiusa a chiave.
Essendo solo l’inizio della giornata cercammo di riprenderci, anche se non fu così facile; erano le 11.00 allora andammo in mensa per recuperare altro cibo e dietro di noi vedemmo passare un uomo, però non lo riconoscemmo, purtroppo.
Mangiammo e durante il pomeriggio andammo in palestra per capire meglio come fosse sparito Mario ricostruendo la scena.
Dopo di che prendemmo un pallone e incominciammo a fare una partitella di pallavolo tre contro tre, passarono tre ore e alle 19.00 Marta andò a cambiarsi e non tornò più.
Come tutte le altre stanze anche la sua era oscurata e con la porta chiusa a chiave.
All’improvviso mi venne in mente un particolare che legava tutte queste sparizioni…ricordavano il libro che ci aveva fatto leggere il prof. Buonarroti.
Quel libro parlava di dieci medici rimasti chiusi in un ospedale, ne spariva uno ogni tanto e alla fine non ne rimase nessuno; anche lì le stanze erano oscurate e alla fine si scoprì che era stato il direttore sanitario dell’ospedale ad uccidere tutti, perché i medici avevano assassinato intenzionalmente alcuni suoi pazienti.
Questo spiegava anche il pezzo di libro ingiallito trovato davanti alla stanza di Anna e spiegava anche il motivo per cui la biblioteca fosse chiusa.
la biblioteca scolastica

Io ne parlai con gli altri ragazzi durante la cena e anche loro erano stupefatti come me, io però avendolo letto quasi un anno fa non mi ricordavo più come doveva sparire il prossimo medico, la copia si trovava in biblioteca e nessuno degli altri ragazzi si ricordava la successiva sparizione.
Era notte e questa fu l’unica in cui riuscii a dormire, la mattina però mi svegliai con un poco di febbre e perciò non feci colazione, ma piuttosto che rimanere in stanza da sola uscii con gli altri.
Mentre gli altri andarono in palestra io rimasi da sola con Serena, andai i bagno e al mio ritorno anche Serena era sparita; avvisai gli altri, i quali mi comunicarono che anche Ludovica era sparita e anche le loro stanze, come le altr,e erano oscurate e chiuse a chiave.
Eravamo rimasti sani e salvi solo io, Leonardo e Gabriele e a quest’ultimo venne in mente che nella sala della preside c’era una bacheca con le chiavi di tutte le stanze e io sapevo che quella stanza era aperta,  perciò salimmo al piano superiore e ci dirigemmo verso la sala della preside.
Senza aspettare un momento, prendemmo tuttele chiavi e scendemmo al piano inferiore per aprire le porte, ma, facendo le scale, Gabriele inciampò, noi non ce ne accorgemmo e il suo corpo sparì.
Arrivati al piano terra incominciammo ad aprire la stanza di Federico e lo trovammo disteso per terra che sanguinava con affianco la pagina di un libro... la mia ipotesi era giusta.
Allora prendemmo la chiave della biblioteca e Leo prese una scopa, girai la chiave e Leonardo colpì il prof. Buonarroti in testa talmente forte che lui cadde a terra.
Nella biblioteca c’erano un coltello, una pistola un pugnale, una corda, un tubo di piombo, due veleni, una chiave inglese, un candeliere, una mazza da baseball e il libro “Dieci piccoli medici.” 
Mentre il prof. Buonarroti era svenuto, Leonardo prese la corda e lo legò ad una sedia, io gli presi dalla tasca il cellulare e chiamai immediatamente i genitori e la polizia.
Nell’attesa che arrivassero i soccorsi io e Leo aprimmo ogni stanza per vedere se tutti fossero morti e associammo ogni arma alla vittima.
Federico era stato ucciso con due coltellate, Anna era stata avvelenata con la cicuta, Giorgia era stata impiccata con la corda, Mario era morto a causa di un trauma cranico causato dal colpo di un oggetto contundente: il candeliere, Marta invece era stata uccisa con un colpo di pistola, Serena era morta colpita dalla chiave inglese, Ludovica venne uccisa con tre pugnalate e Gabriele con il tubo di piombo. Ci rendemmo conto, quindi che l’arsenico e la mazza da baseball erano destinati a noi.
Tornati nella biblioteca, il prof. si era ripreso e ci spiegò che ci voleva uccidere per vendicarsi delle nostre madri, le quali erano state tutte sue fidanzate, ma lo avevano lasciato per sposarsi con i nostri padri e lui non aveva mai accettato questo affronto e aveva studiato per lungo tempo come fargliela pagare.
Così quando rilesse quel vecchio libro in classe insieme a noi decise che avrebbe finalmente attuato il suo piano e avrebbe ripetuto quanto aveva fatto il direttore sanitario, così forse avrebbero scritto un libro anche su di lui!!! 
Alessandra P. 1 B

I nostri racconti (laboratorio primo quadrimestre)

UN BEL FINE SETTIMANA

2017. In una villa splendida ( e con splendida intendo il “paradiso”: ciò che è più tranquillo e beato per vivere),  viveva una ragazza di nome Beatrice, per gli amici Bea, con i suoi genitori: Rita e Giulio, ed i suoi quattro fratelli straordinari. E così diversi tra loro! Non solo perché Alessandra e Massimo erano biondi e gli altri due bruni: no, erano proprio diversi in tutto.
Alessandra, per esempio, come aveva fatto a venir su così saggia?
Non che Beatrice conoscesse a fondo i pensieri che passavano dietro la fronte liscia di sua sorella, però sapeva che lì c’erano intelligenza, calore e onestà.
Poi c’era Massimo, il più sveglio dei tre maschi, il più fantasioso e anche il meno tranquillo. Nicolas, invece, aveva dimostrato calma e sicurezza e salute fin dal giorno della nascita. Era il più sereno ed equilibrato della famiglia Merson.
Per Nicolas, Beatrice lo sentiva, tutto sarebbe stato facile nella vita.
E Paolo? Che vita si prospettava a uno che poteva mettersi a piangere perché la gente sull’autobus aveva la faccia triste, oppure perché aveva incontrato un gatto che sembrava senza casa? Come avrebbe potuto reggere, a lungo andare, a quel suo continuo crucciarsi perché qualche persona, o qualche gatto, o cane non era abbastanza felice?
Eppure sapeva anche essere allegro, in un modo tutto suo. C’erano cose che lo rendevano felice, come per esempio starsene seduto tutto solo nella rimessa delle reti ad ascoltare la pioggia che tamburellava sul tetto, oppure accovacciarsi in un angolo della soffitta durante i temporali.
Paolo era anche uno scienziato, e come tale aveva molte cose da fare: starsene per  esempio disteso sull’erba a osservare che cosa combinavano tutti quei piccoli insetti; o sporgersi dal molo a studiare il meraviglioso mondo di smeraldo, dove i pesciolini d’argento vivevano la loro piccola vita di pesciolini d’argento, o star seduto sui gradini della porta di casa nelle notti d’agosto a guardare accendersi le stelle e cercar di riconoscere Cassiopea, l’Orsa Maggiore e Orione. Paolo assaporava l’esistenza come una serie ininterrotta di miracoli, ed era continuamente occupato a cercare di studiarli, devoto e paziente come si addice a un vero scienziato.
La villa era a due piani, con anche la tettoia diritta, dove si estende una magnifica terrazza con grande piscina non troppo bassa, dotata di due scivoli ed un trampolino non troppo alto. Per riempire la piscina è presente un tubo dell’acqua. Vi è dell’erba sintetica a terra che fa da tappeto. Ci sono dieci sedie sdraio con tavolini ed ombrelloni compresi; un gazebo bianco con sotto cinque poltrone in vimini plastificate, dove si rinfrescano quando comincia a fare caldo ma non troppo da voler entrare in piscina.
La villa ha una facciata color pesca, dove attraverso le finestre si intravede una casa antica, ma con dei particolari anche moderni, sempre ordinata e sistemata.
La famiglia va sempre d’accordo, anche i ragazzi non litigano quasi mai.
La villa è contornata da un giardino verde con dietro un orticello, nel quale vi sono piantati ortaggi di vario genere.

alcuni lavori esposti all'open day
Beatrice è una ragazza dolce, carina, simpatica e solare. Si veste quasi sempre casual. Le piace tanto uscire a divertirsi con le amiche, cantare, ballare, cucinare, disegnare, ma soprattutto dormire, è la sua “passione”. Per questo motivo aveva, anzi si era scelta, uno spazio della casa, una specie di stanza spaziosa per dormire, rilassarsi e pensare. Infatti organizzava spesso dei pigiama party con le sue amiche.
Un venerdì sera ne organizzò uno ed invitò le sue migliori amiche, Cat Valentine e Sam Paket.
Le due amiche arrivarono nello stesso momento, suonarono al citofono del portone principale e  Beatrice si precipitò ad aprire. Le salutò affettuosamente e piena di entusiasmo al pensiero di passare tutta la notte insieme.
Le due amiche entrarono e anche loro erano eccitatissime.
-        Ciaaaaao Bea!!!!! - Dissero Cat e Sam.
Andò loro incontro anche un altro membro della famiglia, il cane Pachi.
Nessuno ha mai saputo da dove venisse: era color miele con una bella coda sempre in movimento e gli occhi carboncino che sembravano voler scoprire chissà quali segreti.
Lungo la siepe del giardino scavava sempre buche profonde dove nascondeva tozzi di pane o palle sgonfie.
Fin da piccolo capiva quello che gli uomini dicevano; era sensibile alle inflessioni delle loro voci nelle lodi e nei rimproveri, che gli mettevano nel cuore una grande malinconia. Abbassava la testa, metteva la coda fra le zampe e si ritirava in fondo al giardino, dietro la grossa siepe che cresceva ostinatamente: era il nascondiglio dove attuava le sue proteste, si riposava dopo le corse e meditava le sue evasioni.
Sì, perché Pachi ogni tanto fuggiva: saltava il muretto, attraversava la strada e si arrampicava per la collina, che chiudeva l’orizzonte come a segnare il limite del mondo. Gli odori della terra gli facevano correre nel sangue un fremito di libertà e una voglia irrefrenabile di assaggiare le erbe, annusarle e rotolarsi beato fra i cespugli.
C’era però una voce dentro di lui che lo richiamava a casa, come un lungo laccio d’amore, che lo legava ai suoi padroni.
Pachi obbediva per farli contenti; l’importante per lui era essere amato, sentire il calore della mano sulla testa e sulla groppa, potersi accucciare ai loro piedi e ascoltare le loro voci.
Un mondo intero non valeva quei pochi momenti d’amore, che questa sera sono pronte a dargli anche le  amiche di Beatrice.
- Hai qualcosa da mangiare? - Disse Sam, come se fosse normale!
La serata divertente cominciò alle 20:00, quando ordinarono le pizze, per mangiarle così intorno alle 21:00.  
Dopo aver finito di mangiare la pizza e aver bevuto tanta Coca Cola, cominciarono a giocare con la casa delle bambole, che era stata regalata a Beatrice proprio quella mattina dai suoi genitori,  in occasione del pigiama party con le amiche del cuore.
Appena ebbero tolto l’involucro...eccola lì, la casetta di un verde scuro, oleoso, color spinacio, ravvivato qua e là da un giallo smagliante. I due solidi, piccoli camini incollati al tetto erano dipinti di rosso e bianco e la porta, che brillava di vernice gialla, sembrava una fetta di torta caramellata. Le quattro finestre, finestre vere, erano divise in riquadri da una larga striscia verde. C’era perfino un piccolo portico dipinto di giallo.
Il gancio laterale era bloccato. Beatrice lo forzò con il suo temperino, aprendo l’intera facciata ed ecco…in un colpo solo si poteva guardare dentro il salotto e in sala da pranzo, dentro la cucina e la camera da letto.
-        Oh! - Esclamarono le ragazze. Era troppo bella,  troppo. Non avevano mai visto niente di simile in vita loro.
Tutte le stanze erano tappezzate e sulle pareti c’erano quadri dipinti sulla carta, con vere cornici dorate. Tappeti rossi ricoprivano il pavimento di tutte le stanze fuorché la cucina; sedie di velluto rosso in salotto, verdi in sala da pranzo; tavoli, letti con vere coperte, una culla, la stufa coi fornelli, una credenza con tanto di piattini e una grossa brocca. Ma la cosa che alle ragazze piacque di più di ogni altra cosa, fu la lampada appoggiata sul tavolo della sala da pranzo, una piccola lampada in ambra, con un globo bianco.
Era persino piena d’olio, pronta per essere accesa, anche se naturalmente non si poteva accendere. Era perfetta!  
Giocarono fino a notte fonda, disturbate di tanto in tanto da Pachi, che reclamava le loro attenzioni per avere coccole.  E loro contraccambiavano con molto piacere.
Sfinite si addormentarono nel sacco a pelo, soddisfatte.
La seguente mattina, molto presto, circa verso le 7:45, Rita, che aveva preparato una sana e nutriente colazione per tutti i ragazzi, disse a Massimo, Alessandra, Paolo e Nicolas di andare a svegliare le amiche. Loro, birichini, presero delle pentole e dei mestoli per far rumore e svegliarle.
Beatrice, arrabbiata, andò da mamma Rita e le raccontò tutto, così i fratelli vennero rimproverati. Alla fine però tutti si fecero una sana risata.
Finita la colazione i genitori di Sam e Cat vennero a prendere le loro figlie, che ritornarono a casa felici della bella e emozionante serata passata soprattutto con Bea e Pachi.
Rita, Giulio, Massimo, Alessandra, Beatrice e i loro genitori si prepararono e andarono a trovare i nonni, che sono dei tipi piuttosto particolari. Tanto per cominciare, nella loro casa vivono quindici gatti che girano dentro e fuori, e la sera si acciambellano dappertutto; sui divani di vimini, sui mobili, dentro i cassetti aperti, e naturalmente sui loro letti.
- Papà dice che non è molto sano dormire con i gatti – ha detto Beatrice – perché possono far venire le allergie.
Nonna Lia però ha alzato le spalle.
- Tutte storie! Le allergie vengono per i gas di scarico delle auto, non per i gatti, che sono animali puliti -.
Mentre parlava, stava preparando la marmellata di susine con un gatto appollaiato sulle spalle e tutti gli altri scorazzavano sul ripiano della cucina.

Il nonno e la nonna sono due tipi molto tranquilli e a dir la verità se la prendono parecchio comoda: la mattina non li vedi in cucina prima delle dieci ( ecco da chi ha preso Beatrice!), poi tirano mezzogiorno con la loro attività che consiste nel fare marmellate, verdure sottolio e formaggio con il latte della capretta.
Nel pomeriggio, nonna Lia dipinge ad acquerelli, mentre il nonno prima legge i libri presi in biblioteca e poi, sul tardi, va ad annaffiare l’orto con un lungo tubo verde.
Infine, la sera, si accomodano su alcune buffe sdraio raccolte in un cassonetto vicino ad un villaggio turistico e guardano le stelle.
Mentre papà e mamma sono rimasti in casa a preparare le marmellate coi nonni, beatrice coi sui fratelli si sono diretti verso il torrente.
Il torrente era sempre secco, tranne d’inverno, quando pioveva forte. Si snodava tra i campi gialli come una lunga biscia albina. Un letto di sassi bianchi e appuntiti, di rocce incandescenti e ciuffi d’erba. Dopo un pezzo scosceso tra due colline, il torrente si allungava formando uno stagno che d’estate si asciugava fino a diventare una pozzanghera nera: “ il lago”, lo chiamavano.
Dentro non c’erano pesci, né girini, solo larve di zanzara. Se ci infilavi i piedi, li tiravi fuori coperti da un fango scuro e puzzolente.
Andavano lì per il carrubbo. Era grande, vecchio e facile da salire. Sognavano di costruirci sopra una casa. Con la porta, il tetto, la scala di corda e tutto il resto. Ma non erano  mai riusciti a trovare le assi e i chiodi. Una volta un loro amico ci aveva incastrato una rete di letto. Ma non si stava comodissimi.
Da qualche tempo però nessuno ci saliva sul carrubbo. A loro invece continuava a piacere. Ci stavano bene lassù, all’ombra, nascosti tra le foglie. Vedevano lontano, era come essere in cima ad una nave. Da lì si vedeva il telone verde del camion del nonno prima di chiunque altro.
Si  arrampicarono su un grosso ramo che si biforcava.
Massimo si  tolse la maglietta,  poggiò  la schiena contro il legno, la testa nelle mani e guardava la collina. Era lontana, in fondo alla pianura, e il sole le tramontava accanto. Era un disco arancione che stingeva di rosa sulle nuvole e sul cielo.
-        Massimo scendi! -.
Sotto l’albero c’era Beatrice.
-        Che vuoi? – e si stiracchiò.
-        Mamma ha detto che dobbiamo tornare a casa, sono le 19:30 ed è quasi pronta la cena - .
C’era ancora un po’ di luce, ma entro mezz’ora sarebbe calata la notte.
Avevano tutti una terribile fame.
Nicolas scese dal carrubbo. Arrivati a casa dei nonni trovarono la tavola apparecchiata e la cena servita. Andarono a lavarsi le mani, si sedettero a tavola e mangiarono abbondantemente. Terminata la cena, salutorono i nonni e ritornarono sfiniti a casa, dove fecero una doccia e si addormentarono beati. Per Beatrice fu davvero un bel fine settimana!

Rosa M. 2 E





I nostri racconti (laboratorio primo quadrimestre)

L'INDAGINE

Il 22 novembre 2016 era una delle giornate grigie, nuvolose e tristi, tipiche di Londra. Come ogni mattina, John era seduto al terzo tavolo da destra del bar sotto casa sua. Consumava in sette minuti la sua solita colazione (tè verde e due fette biscottate con marmellata di more) e poi andava alla fermata dell’autobus per prendere il 39 che lo portava alla sede e casa editrice del “London News” . Il “London News” è il quotidiano più letto dai cittadini londinesi e John è il “desk journalist” più preciso  di tutta l’Inghilterra. Lui, infatti, non va in giro a cercare le informazioni su cui scrivere articoli, ma le informazioni gli arrivano in ufficio e lui digita a computer gli articoli da stampare sul giornale. Era da tanto che non arrivavano notizie interessanti, come usava chiamarle John, ed erano le notizie riguardanti omicidi o casi da risolvere. John, infatti, è anche un investigatore privato, ma non lo fa per lavoro o per soldi, lui lo fa per “hobby”. Gli piace, appunto, stare ore seduto in poltrona a spremersi le meningi per scovare il mistero di un caso, non sa neanche lui perché gli piaccia così tanto. Dopo una giornata passata a scrivere articoli di cucina e politica, John stava tornando a casa dove i suoi figli, Martin e Mel, e sua moglie Mary lo aspettavano per la super partita a “Ticket to Ride”, un gioco il cui tema principale sono i treni. Bisogna cercare di fare percorsi segnati sulla mappa con dei piccoli treni di plastica e John era proprio incastrato, ma c’è sempre una via d’uscita, infatti c’era un altro modo più lungo per completare il tragitto. Finita la cena, Martin e Mel sono andati a dormire, ma John e Mary si sono messi sul divano per guardare un film giallo, genere che a John piaceva molto. In questo film, l’assassino fa evadere di prigione un uomo che poi uccide. L’investigatore lo riconosce perché aveva lasciato del tabacco sul pugnale, l’assassino, infatti, era abituato a fumare la pipa dopo aver ucciso qualcuno. Il detective, però, non riuscì mai a scoprire il motivo per cui aveva fatto evadere quella persona. John lo definì un caso abbastanza semplice perché la storia non era molto intricata e complessa, anche se il film gli era piaciuto molto. Andò a dormire verso mezzanotte perché era rimasto in poltrona a pensare alle altre possibili soluzioni di quel film e non ne aveva trovata nessuna, quindi decise che non era poi così male. Alle 7.00 del mattino era già sveglio anche se era sabato e non doveva alzarsi presto, ed era già seduto in poltrona a leggere il giallo “Assassinio sull’Orient-Express”. Gli piaceva molto il modo di scrivere di Agatha Christie perché è incalzante e gli piace soprattutto il fatto che nessuno ha un motivo valido per uccidere Samuel Ratchett. Verso le 9.00/9.30 si svegliarono anche Mary e i figli, perciò fecero colazione. Al telegiornale annunciarono che un uomo di nome Mortimer, alle ore 14.00, voleva fare qualcosa di solenne nei pressi del Big Ben e del Tamigi. Martin e Mel pensarono subito a una festa o qualcosa del genere, ma Mary guardò John preoccupata. John cercò di sembrare il più rilassato possibile e, finita con calma la colazione, andò in camera per prendere una penna, un blocco per gli appunti e la macchina fotografica. In questi casi cercava di fare più foto possibili da mettere sul giornale. Il blocco per appunti lo usava per fare il resoconto della situazione e segnare gli indizi rivelatori, ma alla gente diceva che gli serviva per annotarsi le informazioni da inserire negli articoli. Ai ragazzi disse di rimanere in casa, ma a Mary spiegò la situazione: doveva andare lì per assistere di persona all’avvenimento che molto probabilmente sarebbe stato qualcosa di brutto (per esempio un omicidio o qualcosa del genere). John non sapeva cosa aspettarsi perché Mortimer era stato abbastanza generale, e le idee di John potevano essere completamente sbagliate e si poteva trattare di una specie di festa. Già dal nome, “Mortimer”, si poteva intuire che avesse a che fare con la morte o con qualcosa di brutto, ma poteva anche non significare niente. John era molto indeciso e perplesso. La giornata nuvolosa e buia e il colore scuro del Tamigi potevano rendere più facile da nascondere il volo in aria e il nuoto nel Tamigi con degli abiti grigi o scuri. Era nel suo studio a pensare ai possibili avvenimenti che si sarebbero potuti verificare, l’idea di una festa la escluse perché di sicuro il telegiornali non l’avrebbero annunciata così vagamente e ora tutti i giornali ne starebbero parlando. Anche se Mortimer avesse voluto che non rivelassero cosa sarebbe successo, qualcuno lo sarebbe venuto a sapere o qualcuno lo avrebbe già rivelato per sbaglio. Rimanevano un omicidio, un suicidio, un esecuzione, l’arrivo di un personaggio famoso (con poche probabilità), un concerto da parte sua per raccogliere qualche soldo (con poche probabilità perché non lo avrebbe definito solenne e non lo avrebbe annunciato in televisione) o uno spettacolo nel Tamigi (anche se illegale) e sul Big Ben. John scelse un suicidio ben organizzato e difficile da capire o lo spettacolo perché Mortimer sembrava un alternativo e sarebbe potuto essere tranquillamente un artista. Mortimer si era espresso con un tono triste, come affaticato, e malinconico; ma poteva trattarsi solo di un’impressione di John. Così annoto sul suo blocco per appunti le informazioni di partenza:
Suicidio (70%) o spettacolo (30%)
Ma all’improvviso alla televisione tutti i telegiornali in edizione speciale annunciavano che probabilmente avrebbe ucciso qualcuno e raccomandavano a tutti di restare in casa, lo dicevano perché era stato trovato un video di una telecamera risalente a poco dopo l’annuncio al telegiornale in cui Mortimer e un’altra persona stavano discutendo e lui disse all’altro di non dire niente a nessuno. Questa frase era molto vaga, però John capì che si sarebbe trattato di un omicidio. Allora corresse le informazioni sul blocco per appunti:
 omicidio (98%)

alcuni lavori esposti all'open day
Il restante 2% sarebbe potuto essere qualsiasi altra cosa. Erano le 13.40 e mancavano venti minuti all’avvenimento, John si preparò per uscire e dopo aver raccomandato a tutti di rimanere in casa uscì e prese l’autobus 41 che lo avrebbe portato al Big Ben. Era molto curioso di sapere cosa sarebbe successo, ma era anche perplesso e un po’ spaventato. Sotto al Big Ben c’era molta gente, soprattutto giornalisti, che aspettavano ansiosi di vedere cosa sarebbe successo. John decise di allontanarsi dalla folla e raggiunse la riva del Tamigi, dove poteva controllare tutto. Il Tamigi era molto più scuro del solito e non si riusciva a vedere nell’acqua. Particolare molto sospetto perché nel Tamigi, anche essendo solitamente scuro, si riusciva sempre a vedere. Mortimer arrivò passando in mezzo alla folla, aveva l’aria stanca ma anche determinata e minacciosa. Iniziò a parlare dicendo che se tutto fosse andato secondo i suoi piani nessuno di loro si sarebbe fatto male e cose del genere… All’inizio i giornalisti si appuntarono ciò che diceva, ma poi si annoiarono e non ascoltarono più. John non era così, invece, lui ogni volta ascoltava tutto; è un tipo che quando ci sono delle istruzioni o cose simili le legge tutte cercando di capire e non dà mai niente per scontato. E in quel momento aveva fatto bene perché continuava a fare continui riferimenti al fatto che nessuno di loro si sarebbe fatto male, che facevano pensare il contrario. Allora John appuntò:
Aria stanca e determinata.
Entrata non da spettacolo.
Continui riferimenti sospetti a non farsi male → pensare il contrario, ma tanto nessuno ascolta.
Dalla sua postazione, John lo vedeva di profilo. Mortimer aveva una canottiera che lasciava scoperta la spalla su cui c’era un tatuaggio cinese:



John c’era già stato in Cina ed era un simbolo che aveva visto disegnato su un muro di una casa di periferia. Il suo amico che gli faceva da guida gli aveva spiegato il significato e gli aveva anche detto perché era stato disegnato. Naturalmente non si ricordava niente e così decise che si sarebbe occupato di quel fatto dopo. Cercò di disegnarlo il meglio possibile sul suo blocco per appunti, nel caso gli sarebbe servito dopo. John trovò lì di fianco a sé una lattina con del liquido dentro e lo versò nel Tamigi e, improvvisamente, l’acqua riprese il suo colore normale! Molto probabilmente era un decolorante per liquidi, ma non ci stette a pensare tanto, l’importante era che il colore scuro se ne fosse andato. Verso il centro del Tamigi, John notò una specie di cabina subacquea con una piccola porta. Tutti erano così interessati a Mortimer che nessuno si era accorto che il quadrante rivolto verso il Tamigi del Big Ben non c’era più. Quando John se ne accorse si meravigliò di come non avesse fatto ad accorgersene prima. Mentre parlava fece riferimento per sbaglio ad un corpo pugnalato, al posto di dire “corpo purificato”, infatti stava dicendo che si confessava sempre in chiesa anche solo per aver fatto anche qualcosa di piccolo a qualcuno e lo stesso sarebbe stato per loro. Decise di non dirlo a nessuno, e guardando meglio notò che dentro si vedeva una specie di deltaplano con uno scompartimento sulla cloche dove si poteva mettere benissimo una spada abbastanza lunga. Questo è quello che pensò John dopo aver fatto molte ipotesi e supposizioni: 
« Mortimer sale sul Big Ben attraverso un passaggio sotterraneo che collega le fondamenta del Big Ben al posto preciso dove si trova lui. Dice alla gente che è un mago e che sa scomparire e ricomparire in altri luoghi, così una botola lo fa cadere mentre sono tutti distratti da lui verso un’altra parte. Raggiunge lentamente le fondamenta del Big Ben , dando tutto il tempo di far comprendere alla gente che non c’era più. Lì, poi, sale fino al quadrante del Big Ben attraverso la scalinata riservata solo ai residenti britannici solo in occasioni speciali. Non è sottoposto a controlli perché entra da sotto e dato che non c’è nessuna visita non ci sono neanche le guardie. Arriva al quadrante dove controlla che il deltaplano sia perfetto e che nello scompartimento ci sia/siano l’/le arma/i del delitto. Così mette in atto il suo piano malvagio: si aggancia al deltaplano, prende la rincorsa nello spazio interno del Big Ben, vola per un po’ di tempo catturando l’attenzione di tutti e poi si lancia in picchiata in acqua dove prende l’arma del delitto o le armi del delitto e raggiunge la cabina subacquea. Ci entra, respira, lascia il deltaplano e riporta il finto corpo pugnalato nel punto in cui era entrato in acqua. Di fianco lascia un pugnale insanguinato e rientra nella cabina dove c’è molto probabilmente qualcuno legato che uccide indisturbato con la spada lunga 50 cm. Ripensandoci però, avrebbe potuto lasciarlo in pericolo di morte, lasciandolo soffrire; e anche se qualcuno fosse arrivato subito dopo non avrebbe potuto salvarlo perché i soccorsi sarebbero arrivati troppo tardi. L’unica soluzione era tentare di rianimarlo da soli. Mortimer, poi, sarebbe andato da qualche altra parte attraverso il tunnel che poteva proseguire anche da altre parti».
alcuni lavori esposti all'open day

John corse subito a casa per prendere tutto il necessario per poter salvare qualcuno e un libro che aveva preso prima di andare in Cina, che spiegava tutti gli ideogrammi cinesi. Non si fermò a salutare né a spiegare quello che stava succedendo. Ritornò di corsa al Tamigi, si nascose dietro un muro e cercò il significato del tatuaggio sulla spalla di Mortimer. Quell’ideogramma rappresentava il viaggio e in matita c’era segnato dall’amico che i ragazzi  di periferia di Hong Kong lo disegnavano quando stavano per fare qualcosa di brutto. John capì che aveva fatto bene a pensare che si sarebbe trattato di un omicidio e quando tornò alla sua postazione vide che Mortimer era appena caduto nella botola. Tutti i giornalisti, che stavano guardando indietro qualcosa indicato da Mortimer, quando si girarono rimasero stupiti. Nel moment della caduta, John aveva fatto una foto in cui si vedeva chiaramente la botola aperta. Fotografò anche quando si lanciò in deltaplano dal Big Ben. Secondo i calcoli di John ci stava mettendo un po’ troppo il corpo ad arrivare a galla insieme al pugnale, allora capì tutto. Dopo essersi lanciato dal deltaplano, era andato nella cabina, aveva lasciato in pericolo di morte quella persona e poi si era suicidato. A causa di un piccolo ritardo nel venire a galla del corpo, John era riuscito a capire che Mortimer voleva suicidarsi! Infatti, il corpo che venne a galla era proprio quello di Mortimer e lo si poteva riconoscere dal tatuaggio sulla spalla destra. In mano, poi, teneva il pugnale che aveva usato per uccidersi. John fece la foto del corpo e poi si tuffò in acqua per raggiungere la cabina subacquea. Dentro c’era solo un manichino di cartone infilzato dalla spada lunga 50 cm. Sulla spada c’erano incisi degli ideogrammi cinesi: 

香港的Sun尤利西斯死

Dopo aver cercato sul libro capì cosa c’era scritto: “Hong Kong hotel sole Ulisse morto”. All’inizio non capì, ma subito dopo realizzò che l’hotel Sole ad Hong Kong era l’hotel dove risiedeva il suo amico Ulisse. Ora però, era morto e lui non era riuscito a salvarlo. Alla felicità di essere riuscito a risolvere il caso si sostituì la malinconia, la tristezza e la rabbia che stava provando dentro di sé, chiedendosi e ripetendosi perché non lo avesse capito prima. Tornato a casa, raccontò tutto, ma la tristezza che provò per Ulisse rimase per sempre, in una piccola parte di se stesso.
Verso le 19.00 venne chiamato da un altro amico che abitava in Scozia e che gli riferì che il funerale si sarebbe svolto il giorno dopo alle 15.00 ad Hong Kong e gli disse che sarebbe stato bello se ci fosse venuto anche lui perché era un’occasione per salutarlo per l’ultima volta. Alle 14.30 del giorno dopo, John era già alla chiesa dove si sarebbe svolto il funerale, ma prima salì nella stanza dell’hotel Sole dove risiedeva Ulisse. Sulla scrivania c’era un foglio scritto velocemente da Ulisse per John che diceva:
“Il mio destino lo conosco già e so che non ti piacerà, per questo ti lascio la mia collezione di libri cinesi. Spero che tu li accetterai e che li terrai come ricordo di me”.
John si chiese, però, perché Ulisse non avesse cercato di cambiare il suo destino. Dopo si diresse al funerale e poi tornò in aereo a Londra dove lo attendevano nuovi casi da risolvere. In seguito a quell’avvenimento la voglia di  risolvere fu spinta dal ricordo di Ulisse che dietro al foglio lasciato per John c’era scritto: “Non rinunciare mai, continua per sempre” e John la interpretò in diversi modi, ma non seppe mai quello che intendeva Ulisse.

 Federico C. 1 B

I nostri racconti (laboratorio primo quadrimestre)

UN CASO A PARIGI

Mi sono svegliato con la sveglia che suonava: ore 8,30 di sabato 23 gennaio.
Accendo il telefono e vedo che ci sono cinque chiamate perse da parte di un numero sconosciuto. Richiamo subito; mi risponde una giovane donna e senza poter dir niente lei subito risponde: “Finalmente signor Gordon, speravo richiamasse; deve venire qui a Parigi per un caso molto importante. Non posso dirle nient’altro per telefono, è top secret. Quando arriverà le daremo tutte le informazioni di cui siamo a conoscenza. Il nostro jet sta venendo a prenderla, sarà lì a minuti, non si preoccupi per le valigie.” Non faccio in tempo a dir niente che la ragazza misteriosa riattacca. Non mi era mai capitata una chiamata del genere; non mi ha dato nessun punto d’inizio e non so neanche se si tratta di un rapimento, una truffa o un omicidio. Decido di partire, anche se non credo di aver altra scelta; apro l’armadio e prendo giacca e cravatta abbinati con una camicia bianca.
Il tempo di chiudere l’armadio e prendere il telefono che sento l’aereo arrivare. Esco, chiudo la porta e mi ritrovo davanti un imponente aereo con strisce azzurre sui lati e le punte delle ali nere.
Dall’aereo esce un uomo alto con la tuta rossa e delle rifiniture argentate: “Lei deve essere il signor Gordon; io sono l’aviatore Rayan dell’esercito”
“Lieto di conoscerla”. Avvicinandosi al jet mi fa segno di salire.
Noto subito che è un aereo molto sofisticato con delle poltrone nere in pelle e un angolo bar.
Mi fa cenno di sedermi su una di queste poltrone, mentre si avvia verso la cabina del pilota, mi avvio verso la zona bar e prendo qualcosa da bere e da mangiare siccome non ho potuto mangiare niente prima di partire.
Mi siedo e prendo una rivista dove ci sono appuntati dei nomi, ma non ci faccio molto caso e giro la pagina. 
Il viaggio da Milano a Parigi in aereo è abbastanza veloce, dura in media un’ora e mezza, ma noi ci abbiamo impiegato solo mezz’ora grazie a questo potente Jet.
Arriviamo verso le ore 9,00; lì ad aspettarci c’è una ragazza: “Signor Gordon, finalmente la vedo di persona! Mi dispiace di non essermi presentata prima al telefono, ma ero impaziente di dirle tutto: sono Sharon Baxter. ”
Nel frattempo un uomo anziano si avvicina e fa un segno alla signorina che immediatamente si allontana: “Bene, bene, quindi lei deve essere il signor Gordon. Io sono il commissario Conte.
Vi avviso, io ero contrario al farla venire, perciò non creda di poter contare su di me. Lei non mi piace!” Lo guardo un po’ stranito “Mi spiace non piacerle e non ho proprio intenzione di ostacolarla nella sua ricerca (anche se non so ancora su cosa sia il caso)” appena si allontanò da dietro di me sentii la voce della signorina Baxter chiamarmi.
In foto: alcuni lavori esposti all'open day

Saliamo su un’auto tutta nera con i finestrini anti-proiettili; mi domando a cosa serva tutta questa sicurezza. La ragazza assume un’espressione seria e mi guarda dritto negli occhi: “Senta, il caso per cui l’abbiamo chiamata è molto importante e segreto. Il motivo per cui abbiamo scelto lei è che lei è l’unico ad essere in grado di arrivare al colpevole; sappiamo che ha collaborato con gli agenti segreti americani e la CIA. Quello che le dirò non dovrà uscire di qua” annuisco “La sera del 20 Gennaio abbiamo ritrovato il corpo di Richard Drasper nel suo ufficio”
“Mi scusi, Richard Drasper?”
“Si proprio lui, il celebre scienziato, era accasciato sulla sua scrivania; sappiamo che stava lavorando per un caso e sospettiamo che sia stato ucciso per questo.”
“Quale caso?”
“Adesso ci arrivo, circa un mese fa, abbiamo ritrovato, sempre nel suo ufficio, un altro scienziato: Brad Casper e sulla schiena di entrambi i corpi abbiamo trovato una scritta. Entrambi stavano lavorando ad un caso segreto avvenuto circa dieci anni fa dove sono morte molte persone, circa cinquanta, con un gas dalla natura sconosciuta. Sospettiamo che i colpevoli siano un gruppo numeroso. La scritta sulla schiena degli scienziati uccisi è MORT” 
“Che in italiano significa MORTE, giusto?”
“Esatto! Sono stati uccisi nello stesso modo; alla stessa ora ed ognuno lavorava allo stesso caso segreto”
“Dovrei farle una domanda: ci sono altre persone che lavorano al caso degli scienziati?”
“Sì! Il dipartimento segreto di Scienze e il nostro dipartimento di spionaggio” A questa risposta faccio una faccia preoccupata; devo assolutamente capire il collegamento tra di loro, tra i casi e la parola MORT, magari è un codice, oppure è semplicemente un pazzo che si diverte ad uccidere e marchiare le proprie vittime.
Ma la domanda che più mi assilla è: “L’assassino come ha fatto ad entrare ed uscire indisturbato da un edificio così protetto e sorvegliato come la Corporation?” 
Era tutto molto strano.
Dopo questo discorso in macchina regnava un silenzio inquietante. Arrivammo alla Corporation e all’ingresso c’erano cinque agenti che ci stavano aspettando.
La signorina Baxter li salutò e loro ricambiarono il saluto; mi presentò: “Agenti ,questo è il signor Gordon, qualunque cosa lui dica è legge”
Senza cambiare espressione gli agenti ci portarono sulla scena del delitto. Mi ritrovai davanti ad una scena del delitto abbastanza classica se non per un particolare; sulle pareti c’era, scritta col sangue, la stessa parola che c’era sulla sua schiena: MORT.
Prima che io potessi fare qualsiasi affermazione arrivò di corsa un uomo “Su-sulla mia pa-parete…”
Ansimava, la signorina Baxter lo invitò a calmarsi: “Ci faccia vedere” gli dissi.
Mi guardò e annuì.
In foto: alcuni lavori esposti all'open day


Ci condusse nel suo ufficio e notai sulla parete che diceva “Sto venendo per te, faresti bene a nasconderti”. Guardai la signorina Baxter “Non l’aveva mai fatto prima, vero?” prima che lei potesse rispondermi arrivarono altri scienziati che avevano la stessa scritta. Qualcosa mi diceva che stanotte qualcuno sarebbe morto. Diedi l’ordine di stare tutti nella hall per la notte e qualunque spostamento andava autorizzato. Ci trovammo tutti alle ore 20,00 come prestabilito. Le luci si spensero all’improvviso e subito si udirono tre colpi di pistola. Questa volta il killer non aveva potuto agire nel suo modo operandi. 
Dopo le urla di paura notammo tre corpi a terra: Nicole Dixton, Max Stats e Giampietro Francois. Nessuno di loro aveva il marchio ma sulla porta della hall c’era quella parola che non ci aveva dato pace: MORT.
Il giorno dopo arrivò l’aviatore Rayan che mi invitò a pranzo ed io accettai molto volentieri. Parlammo per ore del caso, poi mi fece una domanda: “Mi scusi, non gliel’ho chiesto prima, per caso senza farlo apposta, l’altro giorno quando è arrivato ha preso una rivista dal mio aereo?”
Controllai nella borsa e notai qualcosa che non c’entrava con i miei documenti, lo tirai fuori ed era proprio la rivista che mi stava chiedendo “Eccolo qua, non mi ero resa proprio conto di averla presa” 
“Non si preoccupi” Questa frase la disse come se fosse infastidito. Gliela porsi e così facendo cadde qualcosa, ma non feci in tempo a diglielo che era già sparito.
La raccolsi da terra: era una foto che ritraeva lui con altre sette persone di cui cinque le conoscevo bene, erano gli scienziati che erano stati uccisi, ma in questa foto nessuno aveva un camicie o una tuta da aviatore. Erano tutti vestiti con jeans e una canotta bianca; si vedeva che in questa foto erano tutti più giovani, ma erano comunque riconoscibili.
Dietro la foto c’erano otto nomi che non appartenevano a nessuno, erano otto nomi a cui io avrei trovato i proprietari.
Decisi che non c’era tempo per avvisare nessuno, qualcosa mi diceva che qualcun altro sarebbe morto stanotte. Entrai nel sito della polizia e cercai tutti e otto i nomi e mi vennero fuori otto facce , tutte riconoscibili, facevano parte di un gruppo che si chiamava “MORT”, era tutto più chiaro, l’unica cosa che non capivo era “Perché cambiare nome? E chi li stava facendo fuori? Perché?” 
Dovevo andarlo a chiedere ai diretti interessati. Andai nel hangar per cercare “Rayan” e lo trovai solo che era in compagnia di altre due persone, le stesse della foto.
“Allora, l’hai trovata la foto?”
“Doveva essere dentro la rivista, ma non c’è, non la trovo”
“E se qualcuno l’avesse vista?”
Persi l’equilibro e feci cadere una chiave inglese, subito i tre si girarono.
Brayan tirò fuori una pistola, me la puntò contro
“Da quant'è che è qua signor Gordon?”
“Da abbastanza per aver capito, li hai uccisi tutti tu vero?” gli altri due lo guardarono spaventati e dissero insieme:” Li hai uccisi tu?”
Brayan mi guardò con disprezzo: “Non dovevano saperlo, ora dovrò uccidere anche loro; lei è un mostro!” lo guardai mentre caricava quella dannata pistola, ora era puntata contro quei due poveretti; non doveva morire più nessuno!
“Fermo! Quella pistola ha ucciso già troppe persone, ha tolto la vita a persone innocenti, non voglio che riaccada!”
“Su questo si sbaglia, ispettore, erano tutto tranne che innocenti! Suppongo che la foto ce l’abbia lei e che quindi abbia fatto delle ricerche su quei nomi…”
Gli diedi la foto e guardandolo negli occhi gli dissi “So bene quello che avete fatto, tu e il tuo gruppo, ma perché ucciderli?”
“Avevamo deciso di cambiare vita, identità, ma una settimana fa decisero di costituirsi e così facendo ci avrebbero mandato tutti in galera; ma io…io no non potevo permetterlo, ora avevo un aereo, avevo una vita, una casa tutta mia, non potevo permettere a nessuno di portarmi via tutto.”
Ora la pistola si era posata sulla sua tempia, meritava quella fine, ma non potevo permetterlo “Non facciamo stupidaggini!”
“Tu! Non sai niente di quello che ho passato!”
“Hai ragione io non so proprio niente, ma una cosa la so, tu non vuoi morire!”
Cadde a terra distrutto dal suo stesso gesto, poi mi guardò: “Prima di chiamare promettimi che non dirai a nessuno che loro facevano parte del mio stesso gruppo. Se qualcuno deve finire sul fondo quello sono io!”
Lo guardai con compassione, annuì. Presi il telefono chiamai la signorina Baxter che arrivò subito con cinque agenti che presero “Rayan” e lo ammanettarono.
Spiegai tutto quello che avevo scoperto e di come erano andate le cose.
Rayan prima di finire dietro le sbarre sospirando mi guardò e mi disse “Non si dimentichi di me!...”
Beatrice R. 2 E